MALATTIE
MALATTIE DELLA PROSTATA
Definizione L’ipertrofia prostatica è definita dalla crescita non tumorale (benigna) del tessuto prostatico. In particolare, la zona della ghiandola prostatica soggetta ad una crescita maggiore è la zona che circonda l’uretra, potendo creare nel tempo problemi all’atto della minzione.
Incidenza Il processo di crescita prostatica inizia dalla pubertà, per effetto di squilibri ormonali e dell’azione di numerosi fattori di crescita. Si stima che circa il 60% degli uomini oltre il 60 anni soffra di ipertrofia prostatica benigna (IPB). Sebbene l’IPB non causi necessariamente disturbi urinari, si calcola che circa il 30% degli uomini oltre i 65 anni soffre di sintomi urinari severi legati all’ipertrofia prostatica, che riducono notevolmente la qualità della vita.
Segni e sintomi Normalmente il paziente riferisce un aumento della frequenza delle minzioni, soprattutto di notte, dovendosi svegliare diverse volte. Altri sintomi comuni sono uno stimolo urgente a urinare, difficoltà a iniziare a urinare, un flusso di urina debole e che può interrompersi, uno sgocciolamento e una sensazione che la vescica non si sia vuotata completamente dopo aver completato la minzione. In alcuni casi si può arrivare anche alla ritenzione urinaria completa (cioe’ non riuscire in alcun modo ad urinare) dovuta ad una completa ostruzione dell’uretra da parte della prostata ipertrofica. Esistono dei questionari, validati da enti internazionali, come il questionario IPSS (International Prostate Symptoms Score) i quali, grazie a poche domande a cui il paziente deve rispondere in modo autonomo sono in grado di quantificare numericamente la gravità dei sintomi. Diagnosi La presenza di una prostata ingrossata viene sospettata dai sintomi con cui si presenta il paziente. Un esame clinico accurato, comprendente anche l’esplorazione rettale, è in grado di orientare il medico sulla diagnosi di IPB e di escludere altre patologie in grado di dare una sintomatologia sovrapponibile. Ulteriori esami possono essere condotti per valutare le dimensioni della ghiandola prostatica, la gravità dei sintomi e l’evoluzione della malattia. L’esame delle urine viene richiesto per escludere infezioni delle vie urinarie, in grado di dare alcuni sintomi della IPB, nonché possibile complicanza della IPB stessa. Inoltre viene di solito richiesto il dosaggio del PSA (Antigene Prostatico Specifico), importante marcatore del tumore della prostata. L’uroflussometria, il volume residuo post-minzionale e lo studio urodinamico pressione-flusso servono per valutare il flusso dell’urina e le conseguenze sul funzionamento vescicale dovute dall’ostruzione al flusso urinario causata dall’ingrossamento della prostata. Terapia Lo scopo della terapia è di migliorare i sintomi, evitare la loro progressione ed evitare le complicanze a lungo termine (es: ritenzione urinaria, insufficienza renale). Le opzioni terapeutiche variano dalla vigile attesa, a modifiche dello stile di vita, da trattamenti farmacologici a interventi chirurgici. Il tipo di trattamento viene deciso con il paziente in base a quanto i sintomi influenzano la sua qualità di vita e le attività della vita quotidiana, e al rapporto rischio/beneficio. Le terapie farmacologiche sono le più sicure ma anche quelle che impattano in modo minore sull’entità della sintomatologia. Esistono diversi tipi di farmaci efficaci a livello prostatico: gli a-litici, gli inibitori della 5a-reduttasi, ed anche fitoterapici (Serenoa Repens). La terapia farmacologica può essere sufficiente a curare i sintomi di alcuni pazienti, ma altri pazienti avranno bisogno dell’intervento chirurgico. Le opzioni chirurgiche per l’IPB sono svariate. Si passa da interventi endoscopici, come la TURP (Resezione endoscopica Trans-Uretrale della Prostata) ad interventi di cielo aperto, come l’ATV (Adenectomia prostatica Trans-Vescicale). Normalmente la TURP viene eseguita per prostate di basso volume, riservando la ATV per prostate più grosse. Da qualche anno però esiste una variante della TURP, in cui le incisioni a livello della prostata vengono eseguite con uno speciale laser all’olmio. Questo intervento innovativo, chiamato HoLEP (Enucleazione Della Prostata con Laser a Olmio) permette di operare per via endoscopica anche le prostate con adenomi voluminosi, essendo in grado di ridurre il rischio di sanguinamenti e complicanze post-operatorie.
EPIDEMIOLOGIA La neoplasia prostatica è attualmente la neoplasia solida più frequente nell’uomo, escludendo il tumore del polmone. Il fattore primario di rischio è l’età. Il tumore della prostata è raro negli uomini al di sotto dei 45 anni, ma diventa più comune con l’avanzare dell’età (l’età media al momento della diagnosi è di 70 anni). Altri fattori rivestono un ruolo importante nell’insorgenza di questa patologia come la familiarità, la dieta (un elevato apporto di vitamina E (reperibile nei vegetali a foglie verdi), di licopene (presente nei pomodori)e di acidi grassi omega-3 (reperibili nei pesci a carne grassa come il salmone) sembrano essere fattori protettivi), la razza e lo stile di vita.
DIAGNOSI La diagnosi di neoplasia prostatica è più frequentemente incidentale, essendo tale patologia asintomatica nella maggior parte dei casi. Per tale motivo è consigliabile sottoporsi dopo i 50 anni ad una esplorazione rettale (procedura minimamente invasiva che consente di valutare le dimensioni, la forma e la consistenza della prostata) e ad un esame ematochimico volto a valutare il PSA, l’Antigene Prostatico Specifico. Livelli di PSA sotto 4 ng/mL (nanogrammi per millilitro) sono generalmente considerati normali, mentre livelli sopra i 4 ng/mL sono considerati anormali. Tuttavia i livelli ematici di PSA possono variare per molteplici ragioni diverse dal tumore (principalmente ipertrofia prostatica benigna e prostatiti). Per tale ragione, di fronte ad un valore di PSA elevato è necessario sottoporsi ad esami diagnostici più invasivi, il principale dei quali è la biopsia prostatica trans-rettale sotto guida ecografica. Con essa si ottengono campioni di tessuto dalla prostata tramite i quali è possibile determinare la presenza di cellule tumorali all’interno della ghiandola.
TRATTAMENTO Una volta diagnosticata una neoplasia della prostata i trattamenti disponibili attualmente sono molteplici: l’osservazione in assenza di trattamento, la chirurgia, la radioterapia, gli ultrasuoni focalizzati ad alta intensità HIFU, la chemioterapia, la criochirurgia, la terapia ormonale, o una combinazione di queste. Attualmente il trattamento standard è l’intervento chirurgico che consiste nell’asportazione completa della ghiandola prostatica, delle vescicole seminali ed eventualmente dei linfonodi loco-regionali. L’intervento, nella maggioranza dei casi, è curativo in presenza di malattia localizzata ma non scevro da complicanze come l’incontinenza urinaria e la disfunzione erettile. L’eiaculazione viene perduta in ogni caso. Tuttavia, grazie alla tecnica nerve-sparing che preserva i nervi deputati all’erezione, la maggior parte dei pazienti sottoposta a tale intervento recupera rapidamente sia la continenza urinaria sia la propria funzione erettile.
FOLLOW-UP Dopo il trattamento è necessario comunque effettuare controlli periodici del PSA al fine di identificare eventuali riprese di malattia. In caso di rialzo del PSA post-trattamento esistono diversi tipi di approccio terapeutico, come una radioterapia locale, un trattamento ormonale o una combinazione tra essi.
PROGNOSI La prognosi dei pazienti affetti da neoplasia prostatica è in continuo miglioramento negli ultimi anni, sia da un punto di vista oncologico che funzionale. Gli indicatori prognostici più importanti sono lo stadio di malattia, i livelli pre-terapia di PSA e l’indice di Gleason. Sono attualmente disponibili alcuni algoritmi ,detti nomogrammi, volti a predire la prognosi di malattia. Tali strumenti sono attualmente utilizzati sia per stabilire l’approccio terapeutico individuale migliore che per effettuare una stima dell’aggressività della malattia.
MALATTIE DEL RENE E DELLE VIE URINARIE
EPIDEMIOLOGIA E PATOGENESI
La calcolosi delle vie urinarie è una patologia comune caratterizzata dalla presenza di aggregati solidi di varia forma e struttura che si depositano all’interno del rene, delle vie urinarie o della vescica. Tale patologia è più frequente tra i 50 e i 60 anni, anche se può insorgere a qualsiasi età e colpisce maggiormente il sesso maschile. Durante la propria vita, circa un uomo su dieci avrà problemi di calcolosi delle vie urinarie. Sebbene nella sua patogenesi sembrano essere coinvolti diversi disturbi metabolici, alterazioni del pH e degli elettroliti urinari, nella maggior parte dei casi non si riesce a distinguere una vera e propria causa.
DIAGNOSI
Il sintomo d’esordio è prevalentemente un dolore al fianco e/o a livello lombare di tipo colico, che può essere anche molto intenso ed accompagnarsi a nausea, vomito, febbre, dolore alla minzione e ,a volte, presenza di sangue nelle urine. La maggior parte delle volte la colica inizia la notte od al primo mattino, svegliando il paziente che avverte improvvisamente un dolore acuto in sede lombare tipicamente a pousse (cioè che va e che viene) e che raggiunge il suo massimo rapidamente ma che altrettanto rapidamente può scomparire. La diagnosi, al di là della sintomatologia, può essere posta tramite una ecografia dell’addome che può identificare la presenza del calcolo. Utili sono anche gli esami ematochimici e delle urine che possono evidenziare la presenza di sofferenza renale o la presenza di eventuali scompensi metabolici associati.
TRATTAMENTO
I trattamenti disponibili sono molteplici e dipendono dal tipo di calcolo e dalla condizione clinica del paziente. Calcoli di dimensioni inferiori ai 5-6 mm possono essere espulsi spontaneamente. Tale processo può essere facilitato da una abbondante idratazione ( non durante la sintomatologia colica), una terapia antalgica ed una terapia α- litica, volta a dilatare principalmente il collo della vescica e quindi ad espellere il calcolo all’esterno. Può essere necessaria l’associazione di un antibiotico in presenza di sintomi sistemici. In presenza di calcoli di maggiori dimensioni gli approcci terapeutici sono molteplici: il trattamento meno invasivo è certamente la ESWL (litotrissia extracorporea ad onde d’urto) che consente di frammentare il calcolo tramite onde d’urto e favorirne l’eliminazione tramite la minzione. In caso di calcolosi più severa può essere necessario un trattamento chirurgico che può essere endoscopico ( in caso di calcoli di medie dimensioni incuneati nell’uretere) per frammentare il calcolo sotto visione diretta con l’utilizzo del laser, percutaneo oppure un trattamento a cielo aperto. Tale approccio è detto pielolitotomia e consiste nell’asportazione chirurgica del calcolo ove esso non possa essere eliminato con le tecniche sovra citate.
FOLLOW-UP
La calcolosi delle vie urinarie è una patologia che può recidivare. Per ridurre l’incidenza delle recidive è consigliabile una abbondante idratazione ( che diminuisce la formazione di depositi nelle vie urinarie e ne favorisce la eventuale eliminazione). In caso di recidiva della patologia può essere utile una visita nefrologica/dietologica per valutare eventuali disturbi metabolici favorenti la formazione di calcoli delle vie urinarie.
EPIDEMIOLOGIA
La sindrome del giunto pielo-ureterale è un insieme di anomalie che determinano un restringimento nel punto di connessione tra il bacinetto renale e il giunto pielo-ureterale, ostacolando il normale deflusso dell’urina dalla pelvi renale all’uretere. L’urina si accumula di conseguenza nel bacinetto, provocandone la dilatazione. Ciò può comportare diverse conseguenze che vanno dalle infezioni fino all’insufficienza renale. Sebbene nella maggior parte dei casi si tratti di una condizione congenita, la patologia può manifestarsi più avanti negli anni. Le cause possono essere intrinseche o estrinseche. Nel primo caso, si parla di sindrome da stenosi del giunto pielo-ureterale. Nel secondo caso, il giunto pielo-ureterale è compresso dall’esterno (ad es. da vasi sanguigni anomali). I sintomi sono variabili e comprendono infezioni delle vie urinarie urinarie, dolori addominali, ematuria (sangue nelle urine) in seguito a lieve trauma in particolare al fianco, nausea cronica a volte associata a vomito ed eventualmente ipertensione arteriosa (in caso di perdita importante della funzionalità renale). Nel caso di bambini o neonati che sviluppino tale sindrome si ha frequente riscontro di ritardo della crescita e scarso appetito.
DIAGNOSI
Grazie all’ecografia prenatale si può diagnosticare fin da subito un’eventuale sindrome del giunto pielo-ureterale. Anche nel giovane e nell’adulto una ecografia dell’apparato urinario è sempre la diagnostica di prima linea. Di fronte al riscontro di una dilatazione del bacinetto renale vengono generalmente richiesti uno o più dei seguenti accertamenti diagnostici volti a valutare l’entità del problema:
- urografia endovenosa: Tale esame fornisce uno studio anatomico e funzionale dei reni e delle vie urinarie;
- scintigrafia renale: permette uno studio al computer della funzionalità renale e una valutazione della possibile presenza di ostruzione al deflusso dell’urina;
- cistografia minzionale o la cistoscintigrafia diretta: prevedono il posizionamento di un catetere vescicale, il riempimento della vescica con un mezzo di contrasto o un mezzo radiomarcato e l’acquisizione di alcune immagini durante il riempimento della vescica. Costituisce l’esame principale per verificare l’eventuale presenza di un reflusso vescico-ureterale associato.
TRATTAMENTO
Il trattamento della sindrome del giunto pielo-ureterale prevede diverse opportunità, endoscopiche o chirurgiche classiche, ma la più utilizzata e praticata è certamente la
plastica del giunto pielo-ureterale. Si tratta di un intervento chirurgico eseguibile sia in laparoscopia che a cielo aperto durante il quale il bacinetto renale e l’uretere vengono rimodellati per asportare il segmento stenotico e permettere il passaggio dell’urina. Tale tecnica è risolutiva in più del 95% dei casi, senza necessità di alcun trattamento aggiuntivo.
DEFINIZIONE ED EZIOLOGIA
Il carcinoma a cellule renali è la più frequente lesione solida del rene e rappresenta il 2- 3% di tutte le neoplasie. Ha maggiore incidenza nei paesi sviluppati e comprende diversi istotipi con specifiche caratteristiche genetiche. Vi è una predominanza degli uomini sulle donne con un rapporto 1,5: 1 con un picco di incidenza tra i 60 ed i 70 anni di età.
Costituiscono fattori di rischio il fumo, l’obesità e la terapia antipertensiva.
SINTOMI
Attualmente più del 50% dei tumori renali sono diagnosticati incidentalmente nel corso di metodiche non invasive di imaging (ecografia e tomografia computerizzata). E’ raro (6-10%), al giorno d’oggi, riscontrare la classica triade sintomatologica: dolore al fianco, ematuria macroscopica e massa addominale palpabile. Nel 30% dei pazienti con malattia sintomatica è possibile riscontrare sindromi pareaneoplastiche. Le più comuni sono rappresentate da: cachessia, ipertensione, perdita di peso, piressia, neuro miopatia, amiloidosi, policitemia, VES elevata, anemia, funzione epatica alterata, ipercalcemia. Un numero minore di pazienti si presenta invece con sintomi correlati alla malattia metastatica quali dolore osseo e tosse persistente.
DIAGNOSI
La maggior parte dei tumori renali viene diagnosticata con un’ecografia o una TC eseguita per varie ragioni. Il riscontro di una massa solida all’ecografia dovrebbe essere ulteriormente indagata con una TC con mezzo di contrasto. Quest’ultima ha lo scopo di approfondire il reperto ecografico e di fornire informazioni ulteriori circa l’estensione del tumore primario e l’eventuale estensione extrarenale. Fornisce inoltre informazioni circa il coinvolgimento venoso, l’incremento volumetrico dei linfonodi loco regionali, lo stato del surrene e del fegato (frequenti sedi di metastasi). La TC del torace costituisce l’accertamento più accurato per la stadiazione del torace. La risonanza magnetica viene raccomandata nei pazienti con malattia localmente avanzata, sospetto coinvolgimento venoso, insufficienza renale o allergia al mezzo di contrasto.
TERAPIA
La terapia chirurgica è l’unico approccio terapeutico curativo per il trattamento del carcinoma a cellule renali. La nefrectomia radicale, cioè la completa rimozione del rene interessato dalla neoplasia, rimane il gold standard terapeutico nei pazienti con carcinoma a cellule renali localizzato e conferisce una probabilità di cura ragionevolmente elevata.
La chirurgia nephron sparing (tumorectomia renale: escissione del solo tumore con risparmio del rene interessato da malattia) è un approccio curativo riconosciuto per il trattamento dei tumori renali di 4-7 cm da effettuarsi in pazienti selezionati e di centri specializzati.
Si definisce urotelio l’epitelio di transizione che viene a contatto con l’urina e riveste l’apparato urinario dai calici renali sino all’uretra.
La vescica è la sede più frequente delle neoplasie che originano dall’epitelio transizionale.
I tumori dell’epitelio transizionale possono essere presenti, inoltre nei seguenti distretti:
- Nei calici renali
- Negli ureteri
- Nell’uretra.
Le neoplasie vescicali vengono distinte in base alla profondità di infiltrazione della parete vescicale. Le pareti vescicali sono formate da da 3 differenti strati istologici (dall’interno verso l’esterno):
- Tessuto epiteliale transizionale
- Tessuto connettivo sub-epiteliale
- Tessuto muscolare.
Una neoplasia che infiltri solo i primi 2 tessuti indicati viene definita “neoplasia vescicale non muscolo invasiva”. Una neoplasia che infiltri il tessuto muscolare viene definita “neoplasia vescicale muscolo invasiva”.
EPIDEMIOLOGIA:
L’incidenza è attualmente circa 3 volte maggiore nei maschi rispetto alle femmine.
Il cancro della vescica rappresenta in termini di incidenza (nuovi casi diagnosticati ogni anno su 100.000 persone) il quarto tumore nei paesi avanzati ma rappresenta il secondo tumore (dopo quello prostatico) in termini di prevalenza (numero totale di persone affette in un determinato momento su 100.000 persone).
L’età media al momento della diagnosi è tra i 65 e 70 anni.
FATTORI DI RISCHIO
- Esposizione occupazionale a vernici e/o solventi.
- Fumo.
- Cistite cronica ed infezioni
- Radioterapia pelvica
PRESENTAZIONE CLINICA
Il sintomo tipico è l’ematuria (colorazione rosea delle urine per presenza di sangue). Possono essere presenti, inoltre, sintomi urinari della sfera irritativa (difficoltà alla minzione, bruciore minzionale, urgenza minzionale).
PROCEDURE DIAGNOSTICHE
- Ricerca delle cellule tumorali maligne su 3 campioni di urina (CTM).
- Ecografia apparato urinario.
- Urografia con utilizzo di mezzo di contrasto endovenoso.
- Cistoscopia.
- TAC con mdc (per lo staging della malattia).
- RMN con gadolinium (per lo staging della malattia).
- Scintigrafia ossea (per lo staging della malattia).
TERAPIA DELLE NEOPLASIE UROTELIALI
Le neoplasie dell’alto apparato urinario vengono solitamente trattate con interventi radicali volti all’asportazione del rene, dell’uretere e dello sbocco ureterale in vescica. In alcuni casi selezionati si può attuare un atteggiamento conservativo (in caso di piccoli tumori sviluppati all’interno del bacinetto renale o dell’uretere) mediante la fotocoagulazione endoscopica con laser ad Holmio.
Il gold standard per la diagnosi e il trattamento delle neoplasie vescicali “non muscolo invasive” è la resezione trans-uretrale (endoscopica) di neoplasia uroteliale (TURV).
Sarà possibile, sulla base del grado di infiltrazione e sulla base dell’aggressività cellulare (definiti dall’esame istologico) che il medico richieda l’esecuzione, successivamente all’intervento endoscopico, di un ciclo di instillazioni vescicali mediante farmaci chemioterapici locali, generalmente molto ben tollerati dai pazienti.
Le “neoplasie vescicali muscolo invasive” meritano, visto l’elevato rischio di provocare metastasi linfonodali, di essere trattate mediante un intervento radicale con asportazione totale della vescica e la sua sostituzione mediante una neovescica intestinale o, qualora non fosse possibile, mediante una uro-stomia addominale.
MALATTIE ANDROLOGICHE
Persistente o ricorrente incapacità di ottenere o mantenere una erezione peniena adeguata per il completamento della attività sessuale.
La disfunzione erettile si classifica, a seconda dell’eziologia, in forma organica e forma psicogena. La disfunzione è psicogena quando insorge in un paziente senza fattori di rischio particolari, in cui non riusciamo a trovare una causa del problema. Nella maggior parte dei casi, però, la disfunzione è su base organica, su base vascolare.
EPIDEMIOLOGIA:
Si stima che il 35% degli uomini sposati con più di 60 anni soffra attualmente di deficit erettile.
FATTORI DI RISCHIO
- Disordini a carico del sistema nervoso centrale o periferico: traumi o patologie che vadano ad agire a carico del midollo spinale, causando un deficit di conduzione nervosa; traumi o neuropatie causanti deficit di neurotrasmissione periferica (diabete mellito, deficit vitaminico, abuso alcolico cronico); da non dimenticare, inoltre, la chirurgia prostatica o la chirurgia rettale, effettuate non utilizzando la tecnica nerve-sparing.
- Disordini psicologici: tutti i disordini psicologici (in particolare la S. ansioso/depressiva) possono causare od aggravare un deficit erettile.
- Disordini ormonali che conducano ad uno stato di ipogonadismo.
- Disordini a carico del sistema cardiovascolare che conducano ad un danno arterioso e venoso (Diabete, Ipertensione, Cardiopatia ischemica, Aterosclerosi sistemica).
PRESENTAZIONE CLINICA
La sintomatologia classica del deficit erettile è l’inabilità ad ottenere (deficit erettile di ottenimento) o mantenere (deficit erettile di mantenimento) l’erezione per il completamento dell’attività sessuale.
PROCEDURE DIAGNOSTICHE
- Profilo ormonale: indispensabile per escludere la presenza di un ipogonadismo.
- Il cardine per la diagnosi di un deficit erettile è l’esecuzione di un esame ecografico denominato PowerColorDoppler-Penieno.L’esame consiste in un’eco-color doppler del pene in erezione. L’erezione viene ottenuta mediante l’iniezione di prostaglandine a livello penieno. Con questo esame viene attentamente esaminata l’emodinamica peniena (flussi arteriosi e venosi) permettendo di discriminare tra disfunzione arteriosa (deficit di portata a carico delle arterie cavernose), disfunzione venosa (deficit nel meccanismo venoso che permette una fuga di sangue dal pene) o disfunzione mista.
- Valutazione delle erezioni notturne: con tale esame vengono valutate le fisiologiche erezioni notturne (principalmente impiegato per escludere un deficit erettile su base psicogena).
TERAPIA
I pazienti affetti da deficit erettile di tipo vascolare e, in alcuni casi di tipo psicogeno, si possono giovare di un trattamento con i farmaci inibitori dell’enzima fosfodiesterasi di tipo 5 (vardenafil, sildenafil, tadalafil), che potranno essere somministrati secondo la necessità; oppure secondo cadenza giornaliera o settimanale. La condizione necessaria-sufficiente affinché questi farmaci funzioni è che i fasci nervosi responsabili dell’erezione, non abbiano subito danni da chirurgia o traumi pelvici.
I soggetti refrattari a questi farmaci o con danneggiamento a carico delle fibre nervose responsabili dell’erezione, potranno giovarsi di un trattamento con farmacoterapia intracavernosa oppure, secondo la volontà del paziente si potrà optare per una terapia chirurgica del deficit erettile mediante l’impianto di protesi peniene tri-componenti; si tratta di un impinato chirurgico, volto a simulare la fisiologica erezione peniena mediante il posizionamento di due cilindri idraulici intra cavernosi (all’interno dei corpi cavernosi penieni), collegati ad un interruttore (posizionato solitamente all’interno dello scroto) e ad un serbatoio (posizionato intra addominale). All’occorrenza, utilizzando l’interruttore, si provoca la fuoriuscita del liquido dal serbatoio verso i cilindri idraulici all’interno dei corpi cavernosi, che gonfiandosi, causano la tumescenza peniena.
EPIDEMIOLOGIA E DIAGNOSI
L’induratio penis plastica o malattia di Peyronie è una patologia che comporta una curvatura del pene, associata ad erezioni dolorose ed una eventuale riduzione della rigidità peniena distalmente al tratto interessato dalla patologia. Tale condizione è determinata da una placca calcifica a livello della tonaca albuginea che porta ad una curvatura del pene più o meno importante. Le cause sono incerte, si ipotizzano quali agenti i microtraumi che si possono verificare durante i rapporti sessuali o traumi di altra natura. Quando il pene è flaccido non vi è evidenza della patologia che tuttavia, in casi di deformità severa, può addirittura impedire il rapporto sessuale. La prevalenza è maggiore in uomini di mezza età, anche se non è infrequente riscontrare incurvamenti penieni anche in pazienti più giovani. La diagnosi viene facilmente posta osservando il pene in erezione, il quale può mostrare una curvatura ventrale, dorsale o laterale di vario grado. Alla palpazione è riscontrabile una formazione densa, fibrosa, generalmente a livello della linea dorsale mediana del pene.
TRATTAMENTO
La remissione spontanea si osserva in circa il 50% dei pazienti. Sono stati proposti diversi trattamenti medici a base di Vitamina E o acido p-aminobenzoico, anche se la loro efficacia è limitata. Il trattamento standard, ove necessario, consiste in un intervento chirurgico, detto corporoplastica, volto ad eliminare la placca fibrotica causante la curvatura peniena, in modo da ottenere una erezione fisiologica. La maggior parte dei pazienti è estremamente soddisfatta dopo tale trattamento, anche se è suggeribile rivolgersi ad un centro altamente specializzato per il trattamento di tale patologia.
DEFINIZIONE ED EZIOLOGIA
La neoplasia del testicolo rappresenta circa l’1% delle neoplasie maschili ed il 5% di tutte le patologie neoplastiche urologiche. E’ stata osservata un’aumentata incidenza nei paesi industrializzati con un picco tra i 15 ed i 34 anni.
FATTORI DI RISCHIO:
- • storia di criptorchidismo,
- • ipotrofia o atrofia testicolare
- • familiarità (perenti di primo grado)
- • sindrome di Klinefelter,
- • presenza di tumore contro laterale.
Attualmente il tasso di guarigione tra i tumori a basso grado è del 95% circa e leggermente inferiore per quelli ad alto grado.
Questo è dovuto principalmente all’attenta stadiazione al momento della diagnosi e pertanto ad un adeguato trattamento successivo, ad un follow up molto attento ed alle precoci terapie di salvataggio.
SINTOMI E DIAGNOSI
Di solito il tumore esordisce con un nodulo o una tumefazione indolente a livello della gonade interessata dalla malattia. E’ pertanto importante che gli uomini imparino a fare l’autoesame del testicolo palpando l’organo di tanto in tanto per ricercare eventuali anomalie. Un attento esame obiettivo da parte del Curante è inoltre fondamentale nel sospetto di neoformazione maligna.
La brusca comparsa di un dolore acuto al testicolo è un altro segno tipico di questo tumore (emorragia intra – testicolare).
DIAGNOSI E STADIAZIONE
- Ecografia Scrotale (sensibilità 100% circa)
- Markers sierici tumorali (importanti nella prognosi, nella diagnosi e nella stadiazione in quanto è fondamentale assistere ad un loro declino dopo asportazione del tumore primitivo):
- AFP (alfa feto proteina)
- β –hCG (gonadotropina corionica umana)
- LDH ( lattico deidrogenasi)
Questi marcatori si ritrovano aumentati nel 51% delle neoplasie testicolari.
- Esplorativa testicolare/ orchifunicolectomia: ogni paziente che abbia una massa sospetta a livello testicolare deve essere valutato chirurgicamente al fine di asportare il testicolo sede di malattia, ed il funicolo spermatico omolaterale e, nei casi dubbi (probabile istologia benigna), al fine di ottenere una diagnosi istologica estemporanea della natura della lesione.
- La stadiazione viene completata attraverso l’esecuzione di TC per la valutazione del coinvolgimento di:
- Fegato e linfonodi sovraclaveari o addominali
- Polmoni e mediastino
- Cervello e ossa
Sulla base del livello dei Markers tumorali e dell’eventuale coinvolgimento di siti extra testicolari i pazienti riceveranno tipi di trattamenti individualizzati.
TERAPIA
Le scelta terapeutica viene effettuata in base alle caratteristiche istologche del tumore, all’eventuale presenza di metastasi, al sito di metastasi ed alle condizioni cliniche del paziente. Le possibilità terapeutiche pertanto saranno diverse a seconda dei fattori sopramenzionati:
- Vigile attesa
- Intervento chirurgico per asportare i linfonodi sede di metastasi
- Radioterapia (strettamente dipendente dal tipo istologico)
- Chemioterapia